Un giorno mamma disse: “Vai a vedere su Facebook: c’è la zia Terry intervistata al Tg3”.
Fu così che lo scoprii.
Vedo sempre zia nelle occasioni in cui la mia famiglia si raduna. Forse sono troppo poche ma sicuramente piacevoli e per me davvero importanti. In quelle occasioni non parliamo di lavoro, di stress, di quotidianità. Cerchiamo solo di passare bei momenti insieme.
L’argomento quindi non era mai venuto fuori. Quando lo scoprii rimasi sconvolta.
Mia zia era in televisione a fare un discorso su come la popolazione dovrebbe essere sensibile nei confronti degli utenti più deboli della strada, quali ciclisti e pedoni.
Le chiesi subito spiegazioni.
“Da quanto tempo? Che percorsi fai? Ma,… ci vai al lavoro? Non ci metti troppo tempo?”
No. Anzi. Faceva prima che in macchina.
Aveva trovato un modo geniale di spostarsi quotidianamente.
Non subiva lo stress del traffico, non creava traffico, faceva movimento fisico, non inquinava e non era un pericolo pubblico perché, per quanto si possa guidare bene, la macchina ti rende in qualsiasi momento un potenziale omicida.
Già.
Quest’ultima osservazione è la motivazione per cui ho preso la patente a 31 anni suonati.
La macchina ti rende un potenziale omicida.
Puoi guidare bene quanto vuoi ma basta poco, una distrazione, un imprevisto, e puoi diventare un pericolo per te e per gli altri.
Eppure tutti mi continuavano a dire:” Prendi la patente! Vedrai che ti cambierà la vita!”.
Ora che ho la patente l’unica cosa che è cambiata è che ho un documento d’identità in più.
L’auto non fa per me.
Però, forse,… una bici,….
Magari una bici elettrica, pensavo, in modo da potere fare la via in cui abito, troppo ripida da percorrere quotidianamente.
Da piccola qualche volta l’ho provata con la mia vecchia mountain bike fucsia, ma è davvero sfiancante!
Iniziai quindi a cercare il mio mezzo di trasporto ideale, ma di tutte le bici elettriche che provai non ne trovai nemmeno una che mi soddisfacesse.
Finché un giorno ad Acqui la vidi.
Bella, rosa, una Montana col telaio in alluminio Made in Italy. Una delle poche, perché ora sono tutte Made in China. La presi con l’idea di elettrificarla in un secondo momento.
Ma non lo farò.
Ho fatto un grave errore.
La mia bici è troppo bella.
Non la deturperò con un motore elettrico.
Ad Acqui sono stata tre giorni.
Lì tutti vanno in bici. Se vai in macchina sei un cretino.
Le piste ciclo pedonali sono ovunque.
I vigili urbani fanno il lavoro dei vigili urbani e se ti vedono dalle strisce pedonali in procinto di attraversare la strada fermano il traffico e ti danno la precedenza.
Se hai la bici ad Acqui sei trattato come un re.
Ci sono ciclo posteggi ovunque e in centro è tutto ZTL quindi le auto non possono accedere.
Quando sono tornata a Genova mi sono resa conto che per usare la bici bisogna essere temerari. Dei veri pionieri che hanno voglia di fare parte di una massa critica che per protesta si mette a repentaglio fra le auto, gli autobus, i camion, senza la minima protezione in termini di infrastrutture e senza aiuti dagli agenti del traffico, ormai quasi totalmente assenti.
Tenterò una seconda chance.
Comprerò una pieghevole.
Ma l’idea di girare a Genova in bici spaventa me e i miei cari.
Ogni giorno parlo con colleghi, amici, automobilisti di ogni genere che confessano di non sopportare più lo stress e i costi dell’automobile ma che si sentono costretti a restare legati a quel mezzo di trasporto per motivi di sicurezza.
Una giungla. La mia città è una giungla. Vince il più prepotente. Quello con l’auto più grossa, che se ti da dentro non si fa tanto male lui, ma a te ne fa, e anche parecchio.
Gli incidenti mortali di ciclisti uccisi da automobilisti nelle grandi città sono in costante aumento, come in costante aumento sono i furti.
“Se andare in bici fosse più sicuro e più lontano dallo smog del traffico tu lasceresti la macchina per la bici per gli spostamenti in città?”.
Il 90% risponde ”Sì. Inizierei da subito!”.
Sognamo tutti una città più vivibile, a misura d’uomo, meno pericolosa, più serena.
Sognamo tutti di arrivare al lavoro con la sensazione di essere in vacanza perché il viaggio per arrivare è stato stupendo, salutare, ecologico ed emozionante.
Sognamo tutti di arrivare al lavoro presto, di percorrere una strada abbastanza lentamente per vedere l’alba al mattino d’inverno, sentire il profumo degli alberi, vedere il mare, ascoltare il suono dei gabbiani, incontrare persone, condividere il percorso, e alla fine presentarci in ufficio con un bel sorriso stampato in viso.
Come si fa?
Voglio una città così.
Laura Ferrarini
44.419999
9.212206